Chi mi conosce ormai saprà che quando un argomento mi sta a cuore, posso aspettare un po’ ma poi bisogna che ne scriva. Devo liberare i miei pensieri, esternarli.
Chi mi segue sui social avrà anche notato, nell’ultimo periodo, un mio costante pubblicare articoli a favore dei vaccini infantili e a favore della non ammissione a scuola dei bimbi non vaccinati.
Eccomi qua a far chiarezza, per non sembrare un’invasata, ma, soprattutto, perché l’argomento mi sta davvero tanto a cuore. E non per il Toparco, che ha quattro anni e tutte le sue belle vaccinazioni se le è già fatte in tranquillità. Ma per Giacomo, che è ancora in pancia (ormai spero davvero sia una questione di ore!) e che quando nascerà avrà un fratellone che la mattina sale sullo scuolabus, va alla scuola materna, rientra con lo scuolabus a metà pomeriggio e, se è bel tempo, vuole andare ai giardinetti dietro casa.
Con quanti bambini entra in contatto Marco in una giornata? Con quanti bambini non vaccinati? Ecco. Questo è il vero problema che mi assilla: dover tenere il piccinino, finché non riceverà le vaccinazioni, lontano dagli ambienti che frequenta suo fratello, per paura che un bimbo non vaccinato possa attaccargli una malattia che per lui, piccolissimo, può essere un problema. Perché lui e suo fratello fanno parte di una generazione dotata di genitori egoisti. Gente che ha studiato troppo (o troppo poco, o male, non è la sede per definire ciò) e che ha la fobia che i vaccini possano “avvelenare” i propri figli.
Nonostante ci si guadagni da vivere facendo altro, io e il consorte siamo gente di scienza. Io sono un chimico industriale, lui un ingegnere informatico. Entrambi abbiamo fatto un liceo scientifico improntato sulla sperimentazione e sul metodo scientifico. Per la nostra formazione, crediamo profondamente nella ricerca e, per noi, se la scienza, quella ufficiale, dice che è meglio vaccinare i bambini, pur mantenendo le vaccinazioni infantili facoltative, per noi è ovvio che i nostri figli debbano essere vaccinati. E lo sappiamo che non è una passeggiata, perché le notti post-vaccino sono le uniche in cui abbiamo tenuto Marco a dormire in camera nostra. Per controllarlo. Per vedere se reagiva con la febbre. Per sentire ogni suo singolo movimento. Un vaccino non è una passeggiata, ma una salvaguardia: per mio figlio e per tutti i bambini che gli stanno intorno. Perché la vaccinazione di massa protegge la comunità, dove per comunità non si intendono i figli di coloro che “fanno i furbi” e non vaccinano, ma i piccolissimi, ancora in età pre-vaccino. E i bimbi immunodepressi, che invece non possono proprio essere vaccinati. Con un bimbo piccolo, alla fine, basta aspettare. Sperare, pregare, pazientare e dopo fargli fare i suoi vaccini e amen. Avere un figlio immunodepresso vuol dire avere un figlio malato, un figlio cui un vaccino potrebbe davvero essere letale. Ecco, quei genitori non solo devono avere la sofferenza nel cuore per la malattia del proprio figlio, ma anche il terrore che un bimbo non vaccinato possa attaccare una malattia al loro bimbo, una malattia che, ripeto, per il proprio figlio potrebbe essere letale.
Ma veniamo ai viaggi, perché qui si parla di quelli e perché, com’è mio solito, devo sdrammatizzare la questione, altrimenti mi va il sangue al cervello e non partorisco nemmeno tra un mese. Ho diverse amiche che vivono all’estero e che hanno fatto nascere i propri figli fuori dall’Italia. Alla domanda <<Quando venite in Italia?>>, ho sempre sentito seguire la stessa risposta: <<Appena possiamo veccinare la creatura>>. Sì, perché far viaggiare un bambino piccolissimo, ma anche piccolo, senza vaccinazioni, su un aereo o un treno è letteralmente folle. È giocare col proprio figlio alla roulette russa.
Cari genitori antivaccino, volete che i vostri figli non conoscano il mondo? Volete caricarli su di un aereo per girare un pezzetto di mondo quando ormai sono adolescenti e, magari, con voi non ci vogliono più stare? Marco ha quattro anni e la scorsa domenica, in piazza del duomo, dove non andavamo forse da prima dell’estate, mi ha chiesto <<di questa piazza>>. Non potete immaginare la mia soddisfazione, gioia, emozione: ho subito iniziato a spiegargliela, a raccontargli del perché è chiamata “Piazza dei Miracoli” ed ho scoperto un bambino curioso ed attento, con tanta voglia di imparare e di conoscere. Mi sono ripromessa che appena Giacomo ci farà dormire, riprenderemo i nostri viaggi, brevi o lunghi, perché se un figlio è piccino “e non capisce”, l’altro capisce e si ricorda eccome, adesso.
Ragazzi, viaggiare apre la mente. Se non trovate un’ altra motivazione per vaccinare i vostri figli, se dei figli piccolissimi o immunodepressi degli altri non ve ne frega nulla e pensate solo al bene (che poi bene non è) dei vostri, almeno pensate a dar loro delle aspettative, a farli crescere come cittadini del mondo. A farli viaggiare. E per viaggiare, servono le vaccinazioni!
Silvia Ceriegi
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